Zia Ninì (nome appioppatole in quel di Roma, povera zietta sapesse quante leggende metropolitane ruotano attorno alla sua figura…) me li ha consegnati non senza una sorta di gelosia maturata in una vita di gomitoli aggrovigliati ai ricordi. Avrà più di 70 anni zia Ninì, e questi ferri che passavano dalle sue mani alle mie erano appartenuti a sua madre, l’aveva vista armeggiarglieli fin dalla nascita. Non potevo, quindi, non rassicurarla su quanta cura avrei loro riservato prima di riconsegnarli al legittimo proprietario, quel bauletto che si accingeva all’attesa di un ritorno.
Tra le mani fanno uno strano effetto, sono leggermente arcuati rispetto ai soliti che si trovano in giro, e un po’ più lunghi. La particolarità è che una delle due punte è fatta quasi ad uncino, forse a trattenere meglio il filo durante il lavoro. Chissà quanti calzini di seta sottile e lucida avrà confezionato la mamma di zia Ninì in tutta la vita per la sua numerosa famigliola…
Io, malgrado i mille tentativi, niente. Non son riuscita a farci molto. Sfuggivano dalle dita ad ogni movimento. Ma poco importa, l’energia che trasmettevano vale tanto quanto la soddisfazione di un progetto finito.